Firenze Marathon 26/11/2023

 Roma, 27/11/2023

24-11-2023: "Buongiorno... Purtroppo vi devo abbandonare per Firenze. Mezza officina con tosse influenza e covid. Alla fine mi è toccato pure a me.".

Inizia così il venerdì mattina del lungo weekend impegnato per la Maratona di Firenze 2023. Il nostro presidente sta male; dovrà fare il tampone pertanto non partirà con noi.

Non so se procedere all'annullamento del treno oppure se lasciarlo prenotato e vedere il posto vuoto di Fabio che ci accompagna a Firenze. Ora vedo, devo realizzare, devo capire se scrivere che mi dispiace o se scrivere "Cazzo non posso correre senza di te!". Avete presente quando per mesi sai che una cosa deve andare così, perché è stata organizzata così e soprattutto perché io la vedo così dal primo giorno in cui ho conosciuto Fabio ed, improvvisamente (come quando sogni), stai correndo senza meta e ti ritrovi sempre al punto di partenza senza sapere quanta strada hai da fare per raggiungere l'obiettivo. Ecco, questo è quello che ho pensato quel venerdì mattina. Ho iniziato a correre senza mai arrivare. Antonio subito dopo ha scritto che comunque mi avrebbero scortato insieme a Silvano ed Andrea senza mai mollarmi ma dentro di me sapevo che ognuno di loro si sarebbe dovuto "accollare" una fatica enorme.

Li ho convinti di non pensare a me ma, sapevo che Andrea non mi avrebbe ascoltato. Sabato sera 25 novembre: "Allora ultimi dettagli per domani... Partiamo da questa sera: cerca di riposare il più possibile e stai tranquilla. Non ci pensare. Preparati tutto questa sera. Abbigliamento: domani mattina se fa freddo indossa subito la maglia termica, così il corpo si comincia a regolarizzare. Colazione: stai leggera fai una colazione con un bel thè caldo e fette biscottate con marmellata tanto nella maratona non manca da mangiare. Copriti subito con il poncho che ti sei comprata e buttalo quando cominci a sentire caldo. Ultima cosa senti e segui solo una persona... Andrea!! Ok? Buona notte a domani. Divertiti..." - "Anrea ha l'ansia" - "Digli di stare tranquillo anche lui!! e di portarti alla fine". Termina così la serata passata in un ristorante di Firenze (dove tra l'altro io ho mangiato poco e niente perché avevo lo stomaco chiuso) e dopo una passeggiata in centro. Ma torniamo al pomeriggio: Ritiro pettorali. 

Incontrato tutti ci siamo recati al villaggio preposto per ritirare il pettorale di gara. Di solito non do mai peso al ritiro pettorali tranne, in occasione della RomaOstia. Li sapevo che ogni singolo runner che entrava avrebbe corso solo 42,195 kilometri l'indomani. C'era la musica, gli stand e centinaia di persone che sorridevano. Quando sono entrata ho sentito emozione e calore; ho fotografato il mio nome sul tabellone dei partecipanti. Era li anche il lui, tra quelle più di settemila persone che avrebbero partecipato. Camminavo insieme ad i miei amici il percorso guidato per il ritiro guardando il tappeto rosso e le impronte segnate sopra. Ero li anche io, per la prima volta, per la mia prima maratona. Do la mia lettera di conferma, il mio documento e ritiro la busta per me e quella di Fabio che, metto nella busta pensando che quel numero domani non correrà.

26 novembre, giorno della gara: "Andrè, so sveglia dalle 3.00 e l'orologio dice che mi sono addormentata alle 2.20" - "Vabbè... bella riposata". Questo è stato il primo sms della giornata. Successivamente ho mandato alle 6.00 la foto della maglia con il pettorale già attaccato. "Buongiorno, a che ora la colazione? io già sono operativa" - Silvano: "Ma già stai così? comunque ci vediamo alle 7 giù". Ho fatto colazione rigorosamente come consigliato da Fabio e poi sono scesa a sentire "l'aria" con Silvano ed Andrea. Il freddo ti entrava nelle ossa; non avevi modo di scaldarti con quell'abbigliamento nemmeno se super tecnico e super termico. Gli occhi hanno iniziato a lacrimare dall'inizio ed il naso a colare. Le gambe gelide comprese mani e piedi. Non ho resistito e sono risalita in stanza di fretta pensando a come scaldarmi sapendo che non ne avrei avuto modo tranne che correndo. Stavo seduta sul letto gurdando le Hoka. Nel pacco gara c'era uno di quei poncho per il freddo che solitamente vedo indossare in inverno prima delle maratone. Ho messo la fascia in testa per avere la fronte calda, il "boa" di color rosso che avevo comprato appositamente per correrci, il poncho viola e sono scesa giù prima degli altri mettendomi seduta sul divanetto della reception. Ero sola e pensavo solo al traguardo; avrei voluto trovarmi già li stanca ma già li. 

Con gli altri Antonio e Silvano insieme ad Andrea avevamo appuntamento alle 7.15. Tutti coperti con il minimo indispensabile ci siamo incamminati verso la partenza in Piazza Duomo. Fiumi di runner colorati di viola si dirigevano tutti nella stessa direzione. Tremavamo tutti e quattro dal freddo e, anche se non volevamo farlo capire si percepiva perché cercavamo di rimanere il più possibile nascosti sotto il poncho viola. Le griglie erano piuttosto larghe e suddivise in base al tempo dichiarato ma Antonio Silvano ed Andrea nonostante fossero "destinati" a griglie migliori hanno deciso di stare con me. Davanti a noi un tappeto di persone colorate guardavano in lontananza la parte della partenza cercando di percepire il suono dello sparo. Eravamo almeno a trecento metri dallo start. 

"Laura come va? dai che stiamo per partire! Non ci pensare" dice Antonio - "E' una parola Antò!" - "Dai facciamo la foto tutti insieme amzi, faccio il video" Esclama Silvano. Andrea invece stava in silenzio cercando di capire il mio stato d'animo. "Sei pronta? Se demo divertì come ha detto Fabio. Non ce pensà, ricorda; un passo avanti all'altro".

Pam!

Partiti! Il fiume di persone piano piano inizia a muoversi fino a corricchiare piano piano per poi iniziare a correre e sparpagliarsi appena passato lo start. Ai lati della strada un tappeto di ponchi e felpe gettate dai runner. Io me lo sono tenuto per un kilometro poi ho dovuto buttarlo a malincuore perché il freddo era molto. Sento il suono del chip e sospiro sapendo che da li in poi sarebbero passate almeno quattro ore e mezza. "Dai su, mancano solo 42 kilometri che i primo 195 metri li abbiamo fatti" - "Andrè non cominciamo che ti scoccio la bocca!" - Ed intanto Silvano: "Guarda l'arrivo è proprio qui dove stiamo passando. Ma tu non pensare all'arrivo; pensa che da qui parte il Passatore!". "Guardala, con il boa rosso è impossibile non notarla!" urla Antonio. In effetti il mio boa di piume rosse era piuttosto appariscente ma lo avevo promesso e, se devo dirla tutta teneva anche caldo. I primi tre kilometri non riuscivo a correre; sentivo le gambe ferme, dure. Nessuno di noi quattro si era scaldato prima della partenza. "Questo boa me lo perdo!" - "Ecco ci penso io, un bel nodo così se ti fermi ti possiamo pure tirare fino all'arrivo!" mi dice Silvano che mentre correvo mi ha infiocchettato il boa. Intorno al quarto kilometro Antonio e Silvano ci distanziarono in quanto con un passo inferiore al mio. Ero certa invece che Andrew fosse rimasto li. L'andatura era costante e comunque più piano del solito per risparmiare energie. Sapevamo entrambe che per via della mia schiena comunque avremmo potuto avere momenti di rallentamenti. I primi dieci kilometri passano in poco più di un'ora percorrendo il centro in direzione della parte più esterna della città. Ricordo l'Arno nel suo splendore ed il suo silenzio che costeggiavamo lungo ciclabili circondati dal verde. Purtroppo il freddo continuava a non essere dalla nostra parte perché non riuscivamo a scaldarci. La fascia in testa ed il giacchetto antivento l'ho tenuto quasi per venti kilometri. Nonostante il bel sole in alcuni punti di ombra si gelava e tutto quel freddo non lo sentivo solo io. Ai ristori ricordo di non aver mai bevuto un goccio di acqua ma, solamente tè caldo zuccherato. Vedere in lontananza il punto ristoro era per me come una visione; dovete sapere che, a differenza di molti ho percorso i 42,195 kilometri senza prendere mai nessun gel energizzante o carboidrati vari. Ho solamente bevuto piccoli sorsi di tè ogni qualvolta disponibile e, piccoli spicchi di frutta. Intorno al ventesimo quindi, alla mezza distanza ho preso un plumcake perché sentivo il bisogno di mangiare qualcosa. Ad ogni ristoro io ed Andrea rallentavamo per prendere qualcosa e poi ripartivamo. Abbiamo incontrato molte persone che ci incoraggiavano e molti amici partecipanti alla gara. Noi due ci siamo tenuti compagnia per tutto il tempo fino a quando il mio fisico per colpa della schiena ha iniziato a "dirmi" di non farcela più. Poco prima del trentesimo kilometro, sentivo la schiena e le gambe sempre più rigide. Ad ogni passo i reni erano sempre più doloranti ed ho iniziato a rallentare. E' ovvio che in quel momento, dopo aver chiesto ad Andrea quanto ci avremmo messo andando più piano e, sentendomi dire: "Così superiamo le cinque ore" ho avuto un crollo mentale, preso pieno come quello che i runner chiamano il "famoso muro dei trenta". Avrei voluto fermarmi ma allo stesso tempo, ogni volta che Andrea mi chiedeva se ce la facessi rispondevo si: "Anche strisciando arrivo Andrè, non mi far fermare". E lui li è stato bravo; lui li ha capito e piano piano mi ha portato al traguardo. Ricordo che avevo iniziato a non parlare più ma ricordo anche quando ogni tanto mi guardava capendo il mio stato fisico oltre che emotivo e tirava fuori una delle sue perle per farmi distrarre. 

"Dai che abbiamo superato i trenta mo ci tocca quella bella salita dove si arenano tutti!" - "Andrè e vaffanculo un pò!", rispondevo io con classe ed eleganza. "E mica ce l'ho messa io il ponte li. Tocca fallo per forza!". Ricordo che ogni tanto chiamavo le mie amiche; sembra stupido a leggerlo o a sentirlo ma credetemi, ogni volta che la mia mente stava per crollare io partivo con una videochiamata e, vi posso assicurare che quei tre minuti mi distraevano facendomi andare un'altro pò. Ho chiamato anche mia figlia. Intorno al trentaduesimo ho ricevuto un messaggio di Fabio che, come se sapesse aveva intuito che le cose si erano rallentate e di molto. "Come va Laurè?"- "Fa, stiamo al trentaduesimo, mi fa male la schiena." - "Senti sempre Andrea, non ti preoccupare degli altri". Quando ho sentito Fabio avrei voluto chiamarlo ma ho preferito mandargli uno dei miei lunghi vocali. Adrea sorrideva ed aveva anche rinunciato al fatto che mandassi messaggi o facessi chiamate. Nonostante tutto, sapeva che queste cose mi avrebbero distratto. "Ma se pò fa na maratona col telefono in mano? Madonna mia!" - "Andrè e se non mi distraggo come faccio?".

Non ce la facevo più e le mie amiche alla mia ultima chiamata urlarono: "Ce l'hai fatta manca poco non mollare!", ma io avrei voluto mollare già da un pò. Siamo passati in un piccolo stadio dove, il fotografo ci ha immortalato e, nel rivedere quello scatto mi rendo conto di quanto stavo soffrendo. "Dai che hai fatto su, avemo finito non ti preoccupà piano piano" - "Andrè siamo arrivati quindi?" - "E no? ti sembrava facile così. Questi ti fanno vedere la cupola ma te rimannano fuori! Dovemo fa ancora 4 kilometri" - "Ma come non ce la faccio più!" - "Non ce pensà anzi fatte na chiamata così non ci pensi". Io ridevo, scherzavo ma stavo male. Fabio mi scriveva sempre più frequentemente per sapere come andava perché anche se nei miei vocali cercavo di non fargli percepire quanto stesse succedendo lui lo sapeva. Come sapeva che Silvano eìaveva tagliato il traguardo e poco dopo anche Antonio ma non me lo disse. Lo seppi quando ricevetti i messaggi sulla chat di gruppo dei vari arrivi. Successivamente per incoraggiarmi Fabio scrisse: "Sono al trentottesimo! forza ragazzi". Correndo male avevo dolore alle gambe, alle caviglie. Addirittura il collo e le spalle erano doloranti. 

Passato nuovamente parte del fiume Arno ho iniziato a sentire il calore delle persone ai cigli della strada che ci incoraggiavano della fine gara. Vedevo più fotografi concentrati a immortalare quegli ultimi kilometri e li capii che era quasi finita. Siamo "Ripartiti", nel senso che in quel momento (come spesso succede nelle distanze più lunghe) non ho sentito più dolori nè stanchezza ed ho iniziato a correre più veloce. Sapevo che anche se stavo male prima arrivavo al traguardo e prima finivo di correre. Ricordo una curva, dove guardai Andrea e, allo stesso tempo lui guardando me sorrise dicendomi: "Mo è quasi finita davvero" e li mi sentivo contenta, strafelice perché quel momento tanto atteso da ore e "visto" da mesi si stava avverando. "Braviiiiii, dai è finitaaaa!" ci ricordavano i volontari lungo il percorso mentre grandi e bambini applaudivano. io ero sempre più contenta. Non dimenticherò mail il colore della cupola del Duomo che piano piano si faceva strada tra le vie dando uno spettacolo indescrivibile. Più vedevo il Duomo avvicinarsi e più capivo che mancava poco perché il traguardo stava li. 

Da lontano ho visto l'arco del traguardo preceduto da quello di uno sponsor e da un lungo tappeto blu. Sentivo la musica e gli applausi intorno. Ho guardato Andrea ed abbiamo accelerato, avevamo finito. Lo abbiamo tagliato insieme forse, un millesimo secondo l'uno dall'altra perché Andrea è così. Lui ti fa passare prima e non ho mai capito perché. un grande sorriso da parte nostra un esulto da parte mia. Ho la foto che con il dito al cielo guardo su non so cosa. Passo, respito, ferm il mio garmin che segna il traguardo della maratona e mi fermo. Le gambe non ci riescono, le sento strane a tal punto di non riuscire a fermarle, a riprendere un movimento normale, di riposo. Un "Si" di gioia ed uno sguardo al mio fianco alla persona che mi ha accompagnato faticando per due per tutti e 42,195 kilometri. La persona che c'era e che aveva promesso comunque, a prescindere da come sarebbe andata di portarmi al traguardo. La persona di cui Fabio si fida ciecamente e a cui Fabio mi ha affidato. Un'altro mentore, amico e compagno di tanti viaggi. Ci aiamo dati la solita stretta, quell'abbraccio sincero per poi andare alla ricerca di una bottiglia di acqua, di un impermeabile per ripararci dal freddo e di lei... la medaglia finisher. Quella per cui lotto e che ho desiderato dal primo momento, da sempre, da quando corro e da quando ho intrapreso questo percorso. La medaglia che in molti non pensavano riuscissi a prendere ma che ho preso. Quella medaglia, simbolo di una 42,195 kilometri che tutti chiamano "La regina". Me la sono fatta infilare al collo e l'ho guardata come ho guardato il traguardo con la stessa gioia per cui si guarda qualcosa di ottenuto e desiderato per anni. Mi sono girata ed ho aspettato che anche Andrea la prendesse, ed insieme ci siamo diretti nel posto più bello della città; li seduti su un marciapiedi insieme ad altri centinaia di runners ad assaporare la fatica che piano piano si placava. Tutti e due a parlare non so nemmeno di che, ma a parlare. Seduti e ancora con la maglia bagnata dal sudore ho preso il telefono per chiamare Fabio: "Fa, siamo arrivati, abbiamo finito ce l'ho fatta!" - "Non avevo dubbi, Andrea sta li con te?" - "Si Fa, non mi ha mai mollato" - "Ne ero certo". Ho chiamato Luciano e lo abbiamo salutato insieme. Era felicissimo ed anche lui, sapeva che ce l'avrei fatta. Poi ho chiamato mamma; lei, che ha sempre creduto in me e che la mattina in un messaggio mi scrisse: "Vinci come sempre!".

La mia prima maratona più o meno è andata così. Non l'ho potuta descrivere nei dettagli perchè ci sarebbe voluto un libro, ma la racconterò nuovmente, magari con altri dettagli. 

Ringrazio tutte le persone che hanno creduto in me ed anche chi non lo ha fatto ma più di tutti, in questa esperienza la corsa la devo solo a lui. Andrea con il suo spirito e le sue perle mi ha portato ad oltrepassare quella linea blu. Mi ha seguito ed assecondato quando stavo male o giù. Si è fermato rallentando con me ed ha seguito ogni mio singolo passo rendendolo gioioso anche se doloroso. Non saprei che altro dire ma so solo (ed Andrew lo sa) che sarò la sua zavorra anche per la prossima maratona. Mi ha supportato ed anche sopportato... E quando mi chiedono come ho corso la mia Maratona rispondo: "L'ho corsa con Andrea anzi, lui l'ha corsa con me".

Passo e chiudo.






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